Quel cuore troppo grande che uccide gli atleti
Sbaglia chi pensa che il cuore degli atleti sia sempre custodito in una botte di ferro. «Anche chi ha diverse esperienze alle Olimpiadi può mostrare una sensibilità rispetto a eventi cardiovascolari piuttosto gravi», afferma Paulo Emilio Adami, capo del dipartimento di riabilitazione e medicina dello sport della clinica Al Attar di Doha, in Qatar. Il suo messaggio è la sintesi di uno studio presentato durante l’ultimo congresso della Società Europea di Cardiologia. Nessun contrordine sulla valenza dell’attività sportiva, ma è bene sapere che sudare ogni giorno non pone al riparo da infarti e ictus.
I recenti decessi del calciatore Piermario Morosini e del pallavolista Vigor Bovolenta , ma prima ancora quello del mediano camerunense Marc Vivien Foè , hanno riacceso i riflettori su una condizione – la morte cardiaca improvvisa – che colpisce ogni anno in Italia più di 1000 giovani under 35, apparentemente sani. In questo caso l’indagine è stata condotta su oltre duemila atleti nel pieno dell’attività agonistica – la loro età media corrispondeva a 27,6 anni – risultati idonei a partecipare alle Olimpiadi: estive e invernali. Tutti, tra il 2002 e il 2014, sono stati sottoposti a esami utili a certificare il loro stato di salute: come l’elettrocardiogramma da sforzo, l’ecocardiogramma e l’holter (la registrazione dell’attività elettrica del cuore per ventiquattro ore.
Dai controlli è emerso che 171 dei 2354 atleti arruolati (più del 7%) nello studio presentavano anomalie dell’apparato cardiovascolare, strutturali o fisiologiche. Come conseguenza di questi risultati, sei di essi sono stati esclusi dalle competizioni: perché ritenuti in pericolo di vita. Altri 24 sono stati prima sospesi e poi autorizzati a partecipare alle Olimpiadi, purché sotto stretto controllo medico. Un’evidenza sorprendente, per l’esperto, «se si considera il livello raggiunto da questi atleti». Le anomalie, mai riscontrate in passato, non avevano impedito il raggiungimento di importanti risultati.
Tra le principali cause di morte cardiaca improvvisa tra gli sportivi c’è la cardiomiopatia ipertrofica, una malattia a trasmissione familiare che comporta l’ispessimento delle pareti cardiache: soprattutto del ventricolo sinistro, la camera del cuore che pompa il sangue ricco di ossigeno nell’arteria aorta. Nel caso degli sportivi, è spesso molto difficile distinguere tra questa – congenita – e il cuore di atleta: una condizione che, dopo anni di allenamento, porta ad aver una ipertrofia del muscolo cardiaco.
Fatale, la condizione, si è rivelata per il nuotatore norvegese Dale Oen . Si salvò per miracolo, invece, il centrocampista congolese Fabrice Ndala Muamba , sopravvissuto a un arresto cardiaco accusato nel corso di una partita in Inghilterra nel 2012. In questi casi è molto difficile fare prevenzione. La prima manifestazione clinica della malattia si ha proprio in concomitanza con un evento cardiovascolare: che può anche risultare fatale. «Lo studio conferma che il rischio zero non esiste, nemmeno negli atleti», afferma Adami.
Esiste un modo per prevenire i drammi?
È dunque impossibile prevenire la morte cardiaca improvvisa? L’Italia è tra i Paesi che meglio tutela chi pratica attività sportive. Dal 1982 qualsiasi persona che voglia iscriversi a un’associazione o partecipare a una gara è obbligata a effettuare una visita medica – con elettrocardiogramma di base e sotto sforzo – che ne garantisca l’idoneità. La situazione viene approfondita, in caso di anomalie, con esami più specifici: come l’ecografia del cuore, l’holter e l’elettrocardiografia ad alta risoluzione. Con un controllo così stringente, il numero di decessi è crollato.
In Veneto le morti sono diminuite dell’89%
Vale la pena citare un caso su tutti: quello del Veneto, dove le morti sono diminuite dell’89% in vent’anni. Se nei confronti di chi fa sport a livello agonistico il suggerimento è quello di non dare per scontato nulla, riguardo alla salute cardiovascolare, per gli atleti occasionali – chi per esempio decide d’emblée di iscriversi in palestra – «è sufficiente sottoporsi a un controllo della pressione, del ritmo e della frequenza cardiaca, oltre a un elettrocardiogramma», chiosa Roberto Meazza, cardiologo all’ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
Tratto da La Stampa
UN APPUNTAMENTO
Hai bisogno di informazioni
oppure necessiti di fissare un appuntamento
con il Poliambulatorio Oberdan per un consulto?