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L’amnesia del maratoneta: torna a correre perché dimentica il dolore

Quale “perverso” meccanismo fa sì che un maratoneta dopo quell’immenso sforzo che spesso provoca forti dolori muscolari e altri fastidi vada entusiasta a iscriversi alla corsa successiva? Potrebbe essere una sorta di amnesia selettiva, che fa dimenticare nel tempo i particolari più spiacevoli e dolorosi. Ma attenzione, la portata di questa “amnesia” dipende anche da quanto lo stesso atleta abbia apprezzato la gara disputata.

Sono i risultati di uno studio condotto da Przemyslaw Babel, un professore di psicologia alla Jagiellonian University di Cracovia, pubblicato di recente sulla rivista Memory. Molti di noi sanno intuitivamente che il dolore è in una certa misura soggettivo. Pestare i piedi contro il marciapiede per 42 km oggettivamente porta un certo disagio. Ma diversi precedenti studi psicologici hanno stabilito che i sentimenti provati quando si subisce un dolore possono influenzare notevolmente la percezione del dolore stesso. In generale, il dolore associato ad un’esperienza positiva tende ad essere percepito come meno straziante, rispetto al dolore derivante da qualcosa di brutto.

Per questo lo studio polacco si è concentrato sulla maratona: perché finirne una è senza dubbio faticoso, ma può anche essere esaltante; l’esperienza combina dolore oggettivo ed emozioni soggettive. Il metodo di studio è stato semplice. Al traguardo della Maratona di Cracovia del 2012, è stato chiesto a 62 dei finalisti di valutare numericamente l’intensità del dolore provato in quel momento. In media i corridori hanno indicato una moderata intensità del dolore: circa 5,5 su una scala da zero a 10. Tre o sei mesi più tardi, gli stessi corridori sono stati invitati a ricordare quanto dolore avessero sentito dopo la gara. Il loro ricordo è stato molto diverso dall’esperienza reale vissuta. La maggior parte dei corridori ha ricordato la fatica della gara in modo molto meno angoscioso di quello che era sembrato in quel momento. L’intensità del dolore è stata valutata di circa 3 in una scala da zero a 10. È interessante notare che i corridori che avevano riferito di essere meno soddisfatti alla fine della gara in generale poi hanno ricordato il loro dolore in modo più accurato rispetto a quelli che erano stati felicissimi dopo aver attraversato il traguardo, anche se il loro dolore al momento era stato valutato nello stesso modo.

Lo studio è stato di breve durata e limitato, naturalmente, solo ai maratoneti e senza controlli su età, esperienza, salute generale, personalità o altri fattori. Ma i risultati «aiutano a spiegare perché i maratoneti corrono ancora e ancora nonostante la fatica e il dolore causato da tale esperienza fisica», ha detto il dottor Babel. L’amnesia selettiva associata alla maratona potrebbe avere una base evolutiva, ha aggiunto Babel, dal momento che i primi esseri umani in genere correvano per sopravvivere e potrebbero aver avuto bisogno di “dimenticare” o ignorare alcuni dei disagi fisici connessi a questa pratica.  Lo studio suggerisce inoltre, però, che non divertirsi può essere motivo di ricordarsi il dolore in modo più preciso, un fatto demotivante. Quindi, se si vuole mantenere un allenamento faticoso o un programma particolarmente competitivo e allo stesso tempo riuscire a “far passare” la sensazione e il ricordo della fatica provata bisogna allora trovare un’attività che piaccia.

In un precedente studio pubblicato all’inizio di quest’anno, gli stessi ricercatori polacchi hanno intervistato donne che avevano appena subito un intervento chirurgico ginecologico o appena partorito e hanno chiesto loro di valutare l’entità del dolore in quel momento. Tutte hanno riferito alti livelli di dolore. Ma mesi più tardi, quando è stato chiesto loro di ricordarsi di quel dolore, le donne che avevano subito un intervento chirurgico hanno sempre sovrastimato la quantità e l’intensità del dolore che avevano provato dopo l’operazione, mentre le donne che avevano partorito hanno sottostimato il dolore provato, soprattutto se avevano partorito per via vaginale (le donne che avevano partorito con taglio cesareo tendevano a ricordare un po più “precisamente” il dolore).  Anche in questo caso gli autori dello studio hanno concluso che i nostri ricordi di dolore sono “influenzati dal significato” di quel dolore. La chirurgia, raramente una felice occasione, aveva portato le donne ad amplificare il dolore ricordato, mentre il parto, presumibilmente un evento felice, aveva portato le donne a dimenticare gran parte del dolore causato dal travaglio e dal parto.

Tratto da Il Corriere Salute

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